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Un luogo che chiamano “casa”

ONE Magazine è la rivista ufficiale della Catholic Near East Welfare Association (CNEWA), pubblicata regolarmente dal 1974. Attualmente, i contenuti sono disponibili solo in inglese e spagnolo. Il presente articolo racconta di un luogo speciale in Egitto che dona speranza ai giovani in difficoltà.

Nella città di Port Fouad, in Egitto, situata alla foce del Canale di Suez, sorge un rifugio sicuro per giovani donne che affrontano situazioni difficili.

L’orfanotrofio di Santa Marina si trova all’interno di un complesso parrocchiale composto da quattro edifici che si affacciano su un cortile comune. L’area recintata offre alle residenti un senso di protezione e di comunità.

Chi visita l’orfanotrofio viene accolto in un’ampia sala ricevimento, arredata con comode poltrone lungo tre pareti. Sulla quarta campeggia una grande immagine della Vergine Maria, accompagnata da un’icona più piccola di Santa Marina e da una targa con inciso un inno che celebra la fede incrollabile e la devozione della santa.

Gli orfanotrofi di Santa Marina e di Sant’Abanoub a Port Fouad, in Egitto, offrono a giovani orfani e vulnerabili l’opportunità di costruirsi un futuro e di crescere in comunità sicure e amorevoli. Entrambi i centri si considerano molto più di un semplice orfanotrofio e preferiscono persino evitare questo termine per descriversi. Scopri di più sulle case di Santa Marina e Sant’Abanoub in questo video.

Circa 45 ragazze e giovani donne cristiane, provenienti da diverse regioni del Paese e di età compresa tra i 15 e i 25 anni, siedono in silenzio sul tappeto, ascoltando i membri dello staff che conversa. L’atmosfera di calma e serenità contrasta fortemente con le difficoltà che molte di loro hanno vissuto prima di arrivare alla casa di Santa Marina.

La struttura, che si sviluppa su tre piani, accoglie orfane, ma anche ragazze e giovani donne provenienti da situazioni familiari violente o da contesti in cui i genitori temono per il loro futuro. Per questo motivo, i membri dello staff preferiscono chiamarla “La Casa di Santa Marina”, e si impegnano a creare un ambiente familiare e un autentico senso di appartenenza. La casa offre un’assistenza a tutto tondo — fisica, spirituale, psicologica ed educativa — per preparare le ragazze a iniziare con fiducia un nuovo percorso di vita.

Isis Rateb, responsabile della casa, conduce un incontro di studio biblico nella sala principale. (Foto di Roger Anis)

“Questo è un rifugio per ogni ragazza che ha bisogno”, dice Isis Rateb, responsabile della casa. “Mi chiedo spesso: se il Vescovo Tadros non avesse fondato questo posto, quale sarebbe stato il destino di queste ragazze? Dove avrebbero trovato accoglienza?”.

La casa nacque più di quarant’anni fa come rifugio per alcune ragazze provenienti da famiglie in gravi difficoltà. Con il crescere del bisogno durante gli anni Ottanta, il metropolita Tadros dell’Eparchia Copta Ortodossa di Port Said decise di istituire ufficialmente questa casa.

La risposta della Chiesa ad altre necessità sociali ha portato all’espansione dei servizi e alla costruzione di un complesso parrocchiale, che include anche una casa per anziani e persone con disabilità, una residenza per donne consacrate, un ospedale pubblico e una cappella.

Il Reverendo Yaqob Rashed si occupa dell’intero complesso, compreso l’orfanotrofio di Sant’Abanoub per ragazzi, che si trova presso la vicina chiesa copta ortodossa di San Girgis.

È un’opera che pone al centro lo sviluppo spirituale, educativo e sociale, creando un ambiente in cui i bambini possano crescere con dignità”.

L’Egitto conta un numero considerevole di bambini orfani, stimato intorno a 1,5 milioni, ed è sede di numerosi orfanotrofi, gestiti principalmente da organizzazioni non governative, chiese e gruppi religiosi. Le cause dell’orfanità vanno oltre la morte dei genitori e comprendono malattie, abbandono, povertà, violenza domestica e la disintegrazione dei legami familiari.

Padre Yaqob afferma che i problemi coniugali sono diffusi nella comunità cristiana e che spesso le coppie si rivolgono alla Chiesa per trovare una soluzione. Tuttavia, poiché la risoluzione non è sempre possibile e il divorzio per i cristiani copti in Egitto è difficile da ottenere, alcuni coniugi si convertono all’Islam, il che annulla il matrimonio cristiano secondo la legge egiziana. Molti dei coniugi rimasti in questa situazione non riescono a gestire l’educazione dei figli da soli e cadono in miseria. In risposta, la chiesa in Egitto promuove vari programmi di supporto per i bambini, insieme a orfanotrofi e strutture che offrono loro un ambiente sicuro e accogliente, garantendo i bisogni fondamentali.

Lo scorso autunno, delle 45 ragazze e giovani donne alla Casa di Santa Marina, più di due terzi erano minorenni. Le motivazioni che le hanno portate lì sono molto diverse, spiega Padre Yaqob. In ogni momento, stima che circa la metà delle ragazze si trovi nella casa a causa di situazioni familiari difficili, tra cui abusi fisici e sessuali, mentre circa un decimo è presente per la morte di un genitore o per la conversione di uno di essi all’Islam.

La restante parte delle residenti della casa sono minorenni i cui genitori sono preoccupati per i comportamenti delle figlie, considerati rischiosi nella società tradizionale copta ed egiziana, come l’inizio di una relazione con un ragazzo o uomo musulmano. Spesso queste dinamiche si sviluppano sui social media, che annullano le barriere di classe e religione. I genitori temono per il futuro delle loro figlie, preoccupati che possano scappare, convertirsi all’Islam e interrompere i legami familiari, esponendosi così a un maggiore isolamento e vulnerabilità. In alcuni casi, le ragazze sono già fuggite e sono state portate nella casa dopo essere state ritrovate dai genitori. In difficoltà nell’affrontare la situazione, questi genitori sperano che il personale della casa possa aiutare le loro figlie a maturare e prendere decisioni consapevoli per il loro futuro.

“L’adolescenza è un periodo di sentimenti intensi”, afferma Padre Yaqob. “Se una ragazza riceve affetto da un ragazzo musulmano o cristiano mentre si sente respinta dalla sua famiglia, può sviluppare un attaccamento. A questa età, però, il matrimonio non è una soluzione”.

Abbiamo creato un legame meraviglioso; sono diventati tutto per noi”.

La casa serve a “tirarla fuori temporaneamente da quell’ambiente, permettendole di ritrovare la serenità e iniziare un nuovo percorso”, spiega.

A volte, queste ragazze arrivano nella casa contro la loro volontà e provano anche a scappare. Nonostante le difficoltà iniziali, le ragazze generalmente ritrovano un senso di stabilità col passare del tempo grazie al ritmo quotidiano della casa, afferma Karima Aziz, co-supervisore.

“Con il tempo, iniziano a riflettere sulla loro situazione e riconoscendo la loro ingenuità” racconta.

Gli educatori della casa tengono le ragazze occupate dalla mattina alla sera con attività mirate a favorire il loro benessere e lo sviluppo delle abilità. I telefoni smartphone non sono consentiti, ma le ragazze possono chiamare la famiglia, se la situazione lo permette.

Alla Casa di Santa Marina, le ragazze pranzano insieme nel refettorio, come una vera famiglia. (Foto di Roger Anis)

“Le ragazze arrivano da un ambiente senza struttura. Qui, tutto è organizzato: dal risveglio alla preghiera, ai pasti e alle attività”, afferma Padre Yaqob.

La struttura di Santa Marina può sorprendere chi arriva per la prima volta. Ogni giorno inizia alle 6 del mattino con la preghiera mattutina e le attività educative. Le ragazze che sono a rischio di fuggire studiano nella casa in un ambiente di insegnamento domestico, mentre altre frequentano scuole locali.

Dopo la scuola, le ragazze si dedicano a varie attività, come la cucina, lo sport e gli studi spirituali. Si alternano nelle responsabilità quotidiane, imparando a collaborare e a lavorare in squadra.

La sera, la sala da pranzo si trasforma in un vivace laboratorio di artigianato, dove le ragazze si dedicano al ricamo, al merletto, alla maglia e all’uncinetto. Karima le guida con calma, insegnando loro a partire dalle tecniche più semplici fino alla realizzazione di copri-altari e oggetti decorativi. Ogni giorno sono previste anche attività spirituali, come la copiatura di passi biblici, lo studio delle Scritture, la preghiera e la memorizzazione di inni. La giornata si conclude con le luci spente alle 22.

Ogni sera, dopo cena, le ragazze della Casa di Santa Marina si dedicano all’artigianato, imparando nuove abilità manuali. (Foto di Roger Anis)

“In questa casa, il nutrimento spirituale prevale sulle competenze pratiche”, afferma Padre Yaqob. “Le attività sono pensate per riempire il loro tempo con inni, lezioni bibliche e arti, mantenendo la mente occupata e rispondendo ai loro bisogni spirituali”.

Queste ragazze provengono da contesti di povertà, e i loro genitori non sono equipaggiati per gestire le complessità dell’adolescenza odierna.

I cristiani copti costituiscono solo un decimo della popolazione egiziana. La maggior parte di loro vive nell’Alto Egitto, dove, secondo la Banca Mondiale, l’80% della popolazione vive in povertà estrema. A causa di restrizioni legali, discriminazioni nei loro confronti e altre forme di esclusione sociale, i cristiani in Egitto devono affrontare alti tassi di analfabetismo, disoccupazione e violenza, contribuendo alla disgregazione delle famiglie vulnerabili.

Di conseguenza, le ragazze della Casa di Santa Marina non provengono “da un ambiente sano che le insegna e le nutre”, afferma la signora Rateb, che supervisiona la casa con una combinazione di fermezza e compassione. “Ma quando incontrano un’atmosfera positiva, prosperano davvero”.

Martina Wadie, 16 anni, vive nella casa da diversi mesi.

“Fuori eravamo sempre concentrate su questioni mondane, ma qui sviluppiamo i nostri talenti, preghiamo e leggiamo la Bibbia”, dice. “Questa tranquillità ci permette di scoprire la nostra voce”.

Kristin Makram, 20 anni, studentessa al secondo anno di università, afferma di aver imparato a «diventare più paziente e responsabile» da quando vive alla Casa di Santa Marina.

Il soggiorno può durare da un mese a due anni o più, a seconda delle circostanze di ciascuna ragazza. Se la situazione familiare migliora, le ragazze tornano a casa. Altrimenti, se non è possibile, possono rimanere nella casa fino al matrimonio o, una volta raggiunta la maturità, trovare un lavoro e avviarsi verso l’indipendenza.

Ci rifiutiamo di chiamare questo posto un orfanotrofio; lo chiamiamo casa”.

Chi sceglie di sposarsi lo fa spesso su consiglio del personale della casa, spiega Padre Yaqob. Seguendo le tradizioni della società copta, la casa rispetta la pratica dei matrimoni combinati. Quando un giovane si mostra interessato a una delle ragazze, il personale interviene per svolgere il ruolo che normalmente spetterebbe ai genitori. La signora Rateb e Padre Yaqob incontrano il giovane, valutano la sua situazione economica e la stabilità lavorativa. Se sono soddisfatti, parlano con la ragazza della casa che è pronta e desiderosa di intraprendere il matrimonio e la vita familiare.

Yuliana Medhat, 24 anni, si sta preparando per il suo fidanzamento dopo due lunghi anni di cambiamenti. Ha conseguito una laurea in commercio e ha in programma di avviare la propria attività.

“Grazie alla mia formazione accademica e all’apprendimento dei mestieri nel laboratorio, sono in grado di aprire un laboratorio e creare un’azienda, oltre a sposarmi”, racconta.

Ogni mattina alle 5, Amal Nashed inizia la sua giornata preparando i panini per i 13 ragazzi dell’Orfanotrofio di San Abanoub. I ragazzi la chiamano “Mamma” e suo marito, Gerges Lotfy, “Papà”. Quando il sole sorge, i ragazzi partono per la scuola.

La coppia, ormai sulla sessantina, ha dedicato la vita all’orfanotrofio, prendendosi cura dei ragazzi dalla prima infanzia fino all’adolescenza, da quando, negli anni ‘90, hanno perso i loro unici due figli. Hanno creato un ambiente in cui ogni bambino si sente valorizzato e amato, insegnando abilità e valori che promuovono la crescita personale e riflettono l’amore e il legame tipici delle famiglie tradizionali.

Padre Yohanna Adib condivide un momento di convivialità con i ragazzi e il personale educativo della Casa di Sant’Abanoub a Port Fouad, in Egitto. (Foto di Roger Anis)

“Abbiamo creato un legame meraviglioso; sono diventati tutto per noi. Li ho visti crescere, sposarsi e festeggiare la nascita dei loro figli”, afferma la signora Nashed.

Questa atmosfera familiare è ulteriormente evidenziata quando la signora Nashed porta i bambini a fare la spesa durante le vacanze. I ragazzi, chiamandola nel negozio, lasciano spesso i proprietari sorpresi davanti alla vista di una famiglia così numerosa.

L’orfanotrofio è nato all’inizio degli anni ‘80 in un piccolo appartamento, accogliendo inizialmente un solo ragazzo. Con il crescere del numero di bambini, si è trasferito in un nuovo edificio all’interno del complesso parrocchiale di San Mar Girgis a Port Fouad.

Si trova al quarto piano e comprende due appartamenti comunicanti con sette stanze, ognuna con tre letti. Ci sono anche due salotti comuni e una zona pranzo.

Due squadre di educatori si alternano, vivendo con i ragazzi durante tutta la settimana, preparano i pasti, li aiutano negli studi e li accompagnano nel loro sviluppo con un approccio amorevole e disciplinato.

Il turno della signora Nashed, del signor Lotfy e di un altro assistente, Marcelle Aziz, va dal giovedì al lunedì. Marcelle si dedica con lo stesso impegno ai ragazzi dopo essersi ritirata dalla carriera bancaria.

“Crescere questi bambini è decisamente più impegnativo che crescere mio figlio”, afferma Marcelle. “Ci preoccupiamo per loro ancora di più”.

Dopo la laurea, i giovani iniziano a costruire la propria vita, ma i legami nati in casa restano forti, e molti tornano a visitare di tanto in tanto. Mina Nasser, 32 anni, è uno di loro. Da bambino è arrivato a San Abanoub, mentre le sue due sorelle sono andate a Santa Marina. Oggi lavora per un’azienda legata all’Autorità del Canale di Suez. Una delle sue sorelle si è sposata e ha creato una famiglia.

“Quello che ho imparato qui è difficile da trovare fuori”, dice. “La lezione più preziosa è stata la disciplina. Da bambini era una sfida, ma poi ho capito quanto fosse importante”.

Il reverendo Yohanna Adib, pastore della chiesa di San Mar Girgis e responsabile di San Abanoub, indica tra le cause dell’arrivo dei ragazzi alla casa la rottura dei matrimoni, la disgregazione familiare, la morte dei genitori e la conversione di un genitore all’Islam.

Sottolinea che questi ragazzi devono affrontare le difficoltà comuni dei giovani legate agli smartphone e ai social media, ma anche le problematiche aggiuntive derivanti dalla provenienza da famiglie distrutte.

“Prendersi cura di bambini più piccoli è generalmente più facile che di quelli più grandi, che spesso arrivano con comportamenti consolidati che richiedono maggiore impegno”, aggiunge.

Quando un bambino ha almeno un genitore, la chiesa cerca prima di tutto di trovare modi per mantenere il bambino con il genitore, soprattutto se quest’ultimo è disposto a prendersi la responsabilità, anche fornendo un supporto economico, spiega.

Simile per spirito e missione alla Casa di Santa Marina, Padre Yohanna dice che il personale e i bambini “Si rifiutano di chiamare questo posto un orfanotrofio; lo chiamiamo casa”.

“È un’opera che pone al centro lo sviluppo spirituale, educativo e sociale, creando un ambiente in cui i bambini possano crescere con dignità”.

L’impegno di CNEWA

Nel cuore della missione di CNEWA c’è la cura per i più fragili, in particolare i bambini. È per questo che l’associazione sostiene gli orfanotrofi di Santa Marina e Sant’Abanoub, attivi sotto l’egida dell’Autorità per lo Sviluppo e i Servizi Sociali dell’Eparchia Copta Ortodossa di Port Said. Queste strutture offrono ai ragazzi non solo un tetto sicuro e pasti caldi, ma anche l’opportunità di ricostruire la propria vita, superando le difficoltà legate alla perdita della famiglia o a contesti difficili.

Attraverso la preghiera, le attività formative e i momenti di condivisione, i giovani ricevono un sostegno spirituale e umano che li aiuta a guardare al futuro con speranza.

Grazie al contributo di CNEWA, molti di loro possono ritrovare fiducia, guarire le ferite del passato e riscoprire la gioia di crescere. Vuoi unirti a questa missione? Contattaci per scoprire come dare il tuo aiuto.

Ogni gesto, anche il più piccolo, può trasformarsi in un dono immenso per chi è nel bisogno. Se vuoi scoprire come contribuire o conoscere meglio i nostri progetti, non esitare a contattarci. Scrivici un messaggio ed entra a far parte del nostro mondo fatto di speranza e amore per il prossimo.

Il seguente articolo è stato tradotto dalla rivista ONE Magazine, lo puoi trovare in versione originale cliccando qui.

Con sede al Cairo, Magdy Samaan è corrispondente dall’Egitto per il Times di Londra. Il suo lavoro è stato pubblicato anche dalla CNN, dal Daily Telegraph e da Foreign Policy.

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