A Gaza tutto ha un prezzo.
Per Hani Farah, la salvezza della sua famiglia è costata 20.000 dollari: 5.000 per ogni adulto e 2.500 per ciascuno dei suoi quattro figli. Ha pagato sei mesi dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas, nell’ottobre 2023.
Il denaro è finito a Hala Consulting and Tourism, una società egiziana che registra i palestinesi e li fa passare oltre il confine. Ma senza alcuna certezza. Dopo aver presentato la domanda e pagato a marzo 2024, la famiglia Farah ha dovuto aspettare un mese prima che il loro nome comparisse nella lista per l’Egitto.
Ad aprile sono riusciti a raggiungere Il Cairo, dove oggi vivono in una condizione sospesa, che Farah descrive come “tra il cielo e la terra”. Senza residenza non possono ottenere un visto, faticano a trovare un proprietario disposto ad affittare loro un appartamento e per Farah è impossibile lavorare.
A Gaza lui era segretario generale dell’unica Y.M.C.A. (Young Men’s Christian Association) della Striscia, che collaborava con partner locali per offrire aiuti e servizi ai più vulnerabili. Il 17 dicembre 2023 un bombardamento ha distrutto la sede, mettendo fine a ogni attività.

Anche il cognato di Farah, Amin Edward Amin Sabagh, ha registrato la sua famiglia per lasciare Gaza e raggiungere Il Cairo. Ma i loro nomi non sono mai stati chiamati. Oggi restano bloccati a Gaza City, intrappolati da confini ormai sigillati.
“Possiamo perdere la vita in qualsiasi momento”, dice Sabagh, che vive con la moglie Catherine e i loro due figli.
“Eravamo una famiglia felice, vivevamo con dignità. Ora siamo disperati, costretti a rifugiarci in strutture di emergenza senza i beni essenziali: niente cibo, niente acqua potabile”, racconta. “Dipendiamo interamente dagli aiuti per sopravvivere”.
Il 29 luglio un collettivo internazionale che monitora l’insicurezza alimentare nel mondo ha dichiarato che a Gaza è in corso “lo scenario peggiore: la carestia”. L’Integrated Food Security Phase Classification (I.P.C.) misura la gravità delle crisi alimentari su una scala di cinque livelli. Le Nazioni Unite e altre agenzie internazionali si basano sui suoi dati per pianificare gli interventi.
Nel suo ultimo rapporto, pubblicato il 12 maggio, l’I.P.C. ha registrato un raddoppio dei casi di “fame estrema” tra le famiglie di Gaza. Oggi la maggior parte della popolazione è scivolata all’ultimo livello della scala: catastrofe e carestia. I figli di Sabagh, Edward (17 anni) e Yanal (12), hanno raccontato la loro esperienza in una testimonianza scritta inviata a ONE il 4 agosto.

“Dormiamo quasi tutto il giorno per non sentire la fame”, hanno scritto. “Mangiamo solo una volta, alle cinque del pomeriggio: un pezzo di pane, se riusciamo a permettercelo”.
Hanno anche elencato i prezzi dei beni essenziali: $50 dollari per mezzo chilo di zucchero, $100 per mezzo chilo di carne, $10 per un solo uovo. Non mangiano carne da oltre 17 mesi: è introvabile.
“Da un anno e mezzo viviamo nella guerra, nella paura, nella distruzione”, hanno aggiunto.
“Ora affrontiamo un’altra guerra: la guerra della fame. A Gaza non è rimasto più nulla da mangiare”.
Israele ha imposto un blocco il 12 marzo, ancora in vigore. Il 19 maggio ha allentato le restrizioni per far entrare alcuni aiuti umanitari. Ma secondo l’I.P.C. e le Nazioni Unite, quell’apertura è stata solo “una goccia nel mare”.
“La brutalità della guerra è che, mentre chi detiene il potere combatte, a pagare il prezzo sono sempre gli innocenti”
Secondo l’allerta pubblicata a luglio dall’I.P.C., una persona su tre a Gaza “rimane senza cibo per giorni interi”. Tra aprile e metà luglio, gli ospedali hanno ricoverato oltre 20.000 bambini per malnutrizione acuta. Almeno 16 bambini sotto i cinque anni sono morti di fame o per cause legate alla fame tra il 17 e il 29 luglio.
Papa Leone XIV ha commentato la situazione di Gaza “oggi assistiamo desolati all’uso iniquo della fame come arma di guerra”.
“Far morire di fame la popolazione è un modo molto economico di fare la guerra”, ha dichiarato nel suo messaggio del 30 giugno alla conferenza della FAO a Roma.
Nataly Sayegh, coordinatrice dei progetti socio-pastorali di Caritas Jerusalem a Gaza, ha raccontato la sua esperienza diretta della carestia. “Abbiamo iniziato a contare i pezzi di pane, a mettere da parte le porzioni, cercando di far durare tutto un po’ di più”, ha scritto.
“Ogni volta che arrivava la voce di un pacco alimentare, era come scoprire un tesoro. Ma la speranza svaniva in fretta, perché la fame restava”.
La ricerca di cibo nei centri di distribuzione si è rivelata pericolosa. L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha riferito, il 31 luglio, che dal 27 maggio oltre 1.300 palestinesi hanno perso la vita mentre cercavano cibo. Circa il 65% delle vittime si trovava nei pressi dei centri della Gaza Humanitarian Foundation. Israele ha istituito questa fondazione a febbraio come organizzazione non governativa, con il sostegno degli Stati Uniti. Il 5 agosto, esperti delle Nazioni Unite ne hanno chiesto la chiusura, accusandola di usare gli aiuti umanitari per “scopi militari e geopolitici occulti”, in violazione del diritto internazionale.

Oltre ai prezzi gonfiati, anche i prelievi di contante sono sotto controllo. I broker locali trattengono circa il 50% di ogni somma ritirata, spiega il dottor Maher Ayyad, direttore sanitario dell’ospedale cristiano Al-Ahli Arab di Gaza City.
“Ti arriva in mano appena la metà di quello che prelevi”, afferma.
L’ospedale continua a operare nonostante la carenza di risorse essenziali: mancano medicinali, personale specializzato, attrezzature, cibo, letti e carburante per i generatori.
A volte, il personale dell’ospedale sviene per la fame. Senza un’alimentazione adeguata, il dottor Maher Ayyad teme che i pazienti avranno sempre più difficoltà a guarire, a causa della mancanza di nutrienti.
L’ospedale Al-Ahli Arab, con 50 posti letto, ha registrato un aumento del 300% dei ricoveri, a causa dell’impennata di feriti. Prima della guerra, i finanziamenti provenienti da gruppi ecclesiali e dall’UNRWA permettevano di offrire cure gratuite alle fasce più vulnerabili: medicina generale, interventi chirurgici, pediatria e ortopedia. Oggi, quasi il 90% dei pazienti sono vittime del conflitto.
Un raid aereo, il 13 aprile, ha distrutto il laboratorio di genetica, alcune cliniche, la farmacia e una parte del pronto soccorso, dove venivano trattati la maggior parte dei pazienti. La carenza di letti in terapia intensiva ha costretto l’ospedale ad accelerare il turnover dei pazienti che necessitano di ventilatori e cure intensive. I tre letti disponibili in terapia intensiva registrano un tasso di occupazione superiore al 150%.

“A volte, quando arrivano i feriti, il primario mi chiede di scegliere, di stabilire delle priorità: chi possiamo operare e chi dobbiamo lasciare morire… perché non abbiamo abbastanza sale operatorie né personale specializzato”, racconta il dottor Maher Ayyad.
A Gerusalemme, Joseph Hazboun, direttore regionale della CNEWA-Pontificia Missione per la Palestina e Israele, spiega che l’associazione acquista tutti gli aiuti direttamente all’interno di Gaza. “Portare beni dall’esterno è troppo rischioso e complicato”, afferma.
Lo staff dell’ufficio resta in contatto con le famiglie rifugiate nelle chiese cattolica e ortodossa della Sacra Famiglia e di San Porfirio, per capire quali sono i bisogni più urgenti e quali fornitori locali sono ancora attivi. Per rispondere alla grave carenza di cibo, l’ufficio ha collaborato con il Near East Council of Churches e ha distribuito 10 chili di verdure a 444 famiglie, acquistando i prodotti nei mercati locali.
“Far morire di fame la popolazione è un modo molto economico di fare la guerra”
Oltre alle 100 famiglie rifugiate nella parrocchia ortodossa e alle 145 ospitate nella chiesa latina, Joseph Hazboun afferma che il suo ufficio fornisce aiuti anche a circa altre quattro famiglie nel sud della Striscia. Finora, la risposta coordinata di CNEWA ha raggiunto oltre 36.400 persone in tutto il territorio.
“La vera tragedia è fuori dai conventi, dove le persone sono lasciate senza alcun sostegno. Stiamo cercando di raggiungerne il maggior numero possibile di persone”, spiega Hazboun.
Il 18 luglio, il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, e il Patriarca Greco-Ortodosso Teofilo III hanno visitato le due comunità.

“Lì abbiamo incontrato un popolo schiacciato dal peso della guerra, ma che porta dentro di sé l’immagine di Dio”, ha dichiarato il Patriarca Teofilo III durante la conferenza stampa del 22 luglio, dopo la visita alle comunità cristiane di Gaza.
“Cristo non è assente da Gaza”, ha affermato il Cardinale Pierbattista Pizzaballa nella stessa occasione. “È lì, crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie eppure presente in ogni atto di misericordia, in ogni candela nell’oscurità, in ogni mano tesa verso chi soffre”.
Ha aggiunto che gli aiuti umanitari “non sono solo necessari, sono una questione di vita o di morte” e che “rifiutarli non è un ritardo, ma una condanna”.
“Cristo non è assente da Gaza”
Rami Tarazi, ex direttore del Centro Culturale Arabo-Ortodosso di Gaza City, ha avuto un ruolo decisivo nel garantire i primi aiuti attraverso la CNEWA-Pontificia Missione nei giorni iniziali della guerra. Secondo Joseph Hazboun, Tarazi ha contattato l’ufficio di Gerusalemme dell’organizzazione l’8 ottobre 2023, appena un giorno dopo l’inizio del conflitto. L’organizzazione ha approvato immediatamente la richiesta, anche se non disponeva ancora dei fondi necessari.
“Quella rapida decisione è stata fondamentale”, spiega Hazboun. “L’acqua è arrivata la mattina del 9 ottobre, poche ore prima che il magazzino del fornitore venisse distrutto”. Quel primo intervento ha garantito scorte di cibo e acqua per tre mesi a 1.600 persone”.
Ma il 30 ottobre, un raid mirato dell’esercito israeliano ha raso al suolo il Centro Culturale Arabo-Ortodosso. Fino a due giorni prima dell’attacco, circa 3.000 persone vi avevano trovato rifugio. Tarazi aveva ricevuto l’ordine di evacuare il complesso direttamente dai militari israeliani.
Rami Tarazi ha lasciato Gaza nell’aprile 2024. Come Hani Farah, ha dovuto pagare per fuggire: 12.500 dollari per sé, sua moglie e il loro figlio.
Il viaggio, angosciante, li ha portati da Gaza Nord fino al valico di Rafah, tra carri armati, esplosioni, odore di morte e dieci chilometri di cammino lungo la spiaggia. Una volta in Egitto, hanno atteso l’arrivo dei genitori di Tarazi, fuggiti cinque mesi prima verso la Turchia, dove sua madre era in cura per il cancro.
Ora lui e la sua famiglia vivono a Sydney, in Australia, dove Tarazi ha trovato lavoro come assistente per persone con disabilità. Continua a collaborare con la CNEWA-Pontificia Missione per effettuare valutazioni dei bisogni.
“Se non ci sarà un intervento internazionale per Gaza, la maggior parte della popolazione morirà, soprattutto anziani e bambini”, avverte Tarazi.
Hazboun lancia un appello a chi ha cuore e responsabilità: rendersi conto della drammatica realtà di questo conflitto.
“La brutalità della guerra è che, mentre chi detiene il potere combatte, a pagare il prezzo sono sempre gli innocenti”.
L’impegno di CNEWA
L’ospedale Al-Ahli Arab di Gaza City è uno dei pochi progetti storici sostenuti da CNEWA che continua a operare nella Striscia, sebbene sotto costante minaccia di bombardamenti e dopo aver subito gravi danni alle infrastrutture. Dal 9 ottobre 2023, CNEWA fornisce all’ospedale aiuti medici urgenti e supporto al personale sanitario, ormai allo stremo. Dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas, CNEWA ha mobilitato oltre 1,6 milioni di dollari, raccolti dalla comunità cattolica internazionale, per sostenere le organizzazioni ecclesiali attive a Gaza. Gli aiuti hanno raggiunto più di 36.400 persone. Per anni, CNEWA ha anche sostenuto istituzioni fondamentali per la vita sociale e culturale della Striscia: la Y.M.C.A. di Gaza, la Atfaluna Society for the Deaf, la Pontifical Mission School for the Blind, il Brotherhood Park e il Centro Culturale Arabo-Ortodosso. Tutte queste realtà sono state distrutte nel corso del conflitto.
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Il seguente articolo è stato tradotto dalla rivista ONE Magazine, lo puoi trovare in versione originale cliccando qui.