A 1700 anni dal Primo Concilio Ecumenico di Nicea, cristiani di quasi tutte le confessioni si uniscono nel celebrare un momento che ha segnato in modo irreversibile la storia della fede.
Il Concilio di Nicea — che si svolse da maggio a luglio del 325 a Nicea, l’odierna İznik in Turchia — possiede caratteristiche uniche. Tuttavia, i concili non rappresentavano una novità per il cristianesimo delle origini.
Fin dai primi tempi, i seguaci di Gesù si riunivano insieme agli apostoli e agli anziani delle comunità per discutere le questioni più importanti della fedeIl primo resoconto di un incontro di questo tipo si trova negli Atti degli Apostoli (15,1-29), e si stima che si sia svolto tra il 48 e il 50 d.C. La questione principale riguardava i cristiani non ebrei che stavano emergendo grazie alla predicazione di Paolo. Dovevano osservare la Legge di Mosè come i cristiani di origine ebraica? Pietro sostenne di accogliere i gentili senza sottoporli alla Legge mosaica. Giacomo intervenne subito dopo e decise che ai convertiti gentili non si dovessero imporre pesi aggiuntivi.
Anche durante i secoli delle persecuzioni, i cristiani si radunarono in concili e sinodi per affrontare questioni rilevanti.

I concili di Roma (155, 193 e altri), di Iconio (258) e d’Arabia (246) dimostrano come i cristiani si riunissero in assemblee anche quando la loro religione non era ancora riconosciuta dall’Impero romano. Nel IV secolo, però, la situazione cambiò profondamente. L’imperatore Diocleziano, noto per la sua dura persecuzione dei cristiani e al potere dal 284 al 305, riorganizzò l’impero dividendolo in quattro unità autonome, le cosiddette tetrarchie. Seguì un periodo di lotte e confusione: in un certo momento, sette persone si proclamavano imperatori di Roma. Questo scenario spiega come Costantino riuscì a diventare unico sovrano dell’impero nel 324.
Dopo la morte del padre, nel 306, le truppe proclamarono Costantino imperatore a Eboracum, l’attuale York in Inghilterra. Da allora, egli sentì di avere un legame particolare con il Dio dei cristiani, un legame che si rafforzò nel 312, quando attribuì la sua vittoria su Massenzio al Ponte Milvio a Dio, “nel cui nome aveva vinto”.
Occorre chiarire alcuni punti. Costantino si occupava già attivamente delle questioni cristiane prima di fondare la sua nuova capitale, la Nuova Roma, comunemente chiamata Costantinopoli, sul sito dell’antico porto greco di Bisanzio. Già nel 314 convocò la Sinodo cristiana di Arles. Ancora più noto è il fatto che, come imperatore incontrastato di Roma, fu lui a convocare il Primo Concilio di Nicea nel 325, contribuendo a fissarne l’agenda e a promuoverne le decisioni. In generale, si ritiene che Costantino compì tutto questo prima di ricevere il battesimo.
Per Costantino, il Dio dei cristiani costituiva la fonte del suo successo. Avendo sperimentato il caos centrifugo delle tetrarchie, mise l’unità al centro delle sue priorità. L’arianesimo, che negava la divinità di Cristo, minacciava quella stessa unità. Una cristianità divisa metteva a rischio anche la fragile coesione dell’impero.
Ridurre la sua azione a meri calcoli politici sarebbe ingiusto e impossibile da provare. Negare ogni fine politico, però, sarebbe ingenuo e pretenderebbe una competenza teologica che Costantino non possedeva.
Come già detto, il Concilio di Nicea non fu il primo concilio cristiano. Ma fu il primo a entrare nella categoria dei “concili ecumenici”, destinati a occupare un posto centrale — anche se non sempre unificante — nella storia e nell’identità del cristianesimo.

Ogni concilio prese il nome della città che lo ospitava. I più importanti vennero detti ecumenici, cioè generali o universali. Il termine deriva dal greco oikouménē gē (οἰκουμένη γῆ), “terra abitata e civilizzata”. Con il tempo assunse anche il senso di ortodosso e in comunione.
Molte Chiese cristiane riconoscono i primi sette concili: Nicea I (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431), Calcedonia (451), Costantinopoli II (553), Costantinopoli III (680-681) e Nicea II (787). Tutti furono convocati dall’imperatore romano e si svolsero nella parte orientale dell’impero, che comprendeva gran parte del Mediterraneo orientale.
Nonostante l’enorme importanza dei concili, resta un’ombra Quasi ogni concilio affrontava insegnamenti considerati eterodossi, cioè eretici e inaccettabili, percepiti come una minaccia all’unità dell’impero. Le violazioni dell’unità di credo (la fede), culto (la liturgia) e codice (il diritto canonico) avevano conseguenze sia religiose sia politiche. Eresia e tradimento diventavano così quasi fratelli.
Gli “acta” o decreti della maggior parte dei concili, incluso quello di Nicea, contengono anatemi (o scomuniche) diretti a uno o più gruppi cristiani ritenuti eterodossi. Solo nei tempi moderni ci si è resi conto che l’”oikouménē”, cioè il concetto di mondo cristiano alla base dei concili ecumenici, si restringeva progressivamente a ogni nuovo concilio.
La situazione attuale mostra sia i successi sia i limiti che i tentativi di unità hanno incontrato nei 1.700 anni passati. La Chiesa cattolica riconosce 21 concili ecumenici. I primi sette di questi concili sono condivisi con le Chiese ortodosse di tradizione bizantina, che non ne accettano altri come ecumenici. Le Chiese ortodosse orientali (armena, copta, ge’ez e siriaca) ne riconoscono tre: il Primo Concilio di Nicea, il Primo di Costantinopoli e quello di Efeso. La Chiesa d’Oriente accetta il Primo di Nicea e il Primo di Costantinopoli. Le Chiese della Riforma in Occidente — anglicana, luterana, riformata e altre — seguono percorsi differenti riguardo ai concili che riconoscono.
Il 1700º anniversario rappresenta dunque un’occasione di festa e di profonda riflessione. L’unità, obiettivo cruciale per Costantino e per i partecipanti a Nicea, rimane un traguardo essenziale e al tempo stesso difficile per i cristiani di oggi. Il Consiglio ecumenico delle Chiese conta 356 membri, ma non include la Chiesa cattolica, la più numerosa al mondo.
Nonostante la tendenza del cristianesimo, in duemila anni, a dividersi, ci sono comunque segnali di speranza. Il concetto di “ecumenico”, che nei secoli era diventato sempre più esclusivo, ha subito una vera e propria inversione di significato. Ciò che un tempo indicava un gruppo di cristiani già in comunione, a esclusione degli altri, oggi riguarda un insieme di cristiani impegnati a ricostruire una comunione frammentata. Forse l’obiettivo di Nicea e la preghiera di Cristo “che tutti siano una cosa sola” (Gv 17,21) potranno avere un futuro più luminoso.