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Una sfida globale

ONE Magazine è la rivista ufficiale della Catholic Near East Welfare Association (CNEWA), pubblicata regolarmente dal 1974. Attualmente, i contenuti sono disponibili solo in inglese e spagnolo. Il seguente articolo racconta le diverse iniziative della Chiesa per assistere le persone affette da H.I.V. e AIDS.

Sridevi M., rimasta orfana a causa dell’AIDS, sogna di diventare medico. Sua madre aveva scoperto di essere positiva all’H.I.V. durante un controllo prenatale di routine. Poco dopo, anche il padre, camionista, risultò positivo: aveva contratto il virus a seguito di rapporti non protetti con prostitute durante i suoi viaggi di lavoro.

Nonostante la diagnosi, la madre di Sridevi scelse di portare avanti la gravidanza e iniziò la terapia contro l’H.I.V. Alla nascita, anche la bambina fu trattata con farmaci specifici per sei settimane e risultò negativa al virus.

Quando aveva solo sei anni, Sridevi perse entrambi i genitori, deceduti a causa della malattia. Da allora, vive nel convento della Congregazione del Sacro Cuore, una comunità di suore cattoliche siro-malabaresi che opera nel distretto di Shimoga, nello stato del Karnataka. Essendo una hindu di casta inferiore, Sridevi non porta un cognome, ma solo un’iniziale accanto al suo nome.

A Shimoga, padre Abraham Areeparambil, direttore della Malnad Social Service Society dell’Eparchia Cattolica Siro-Malabarese di Bhadravathi, è da quasi vent’anni impegnato nel sostegno e nella cura dei malati di H.I.V. e AIDS.

Nel Karnataka meridionale, dove il tasso di infezioni da H.I.V. supera la media nazionale, la Chiesa è in prima linea per non lasciare indietro nessuno. Attraverso centri come il Navajeevan e la Jyothir Vikasa, offre cure mediche, sostegno alle famiglie, campagne di sensibilizzazione e programmi di prevenzione e trattamento per chi convive con H.I.V. e AIDS.

“Queste persone hanno bisogno di attenzione, empatia e cure, proprio come chiunque altro”, afferma padre Abraham Areeparambil. “Con il giusto trattamento e supporto, possono vivere quasi normalmente. Come Gesù ebbe compassione, così anche noi dobbiamo offrire loro la nostra”.

Mentre in Occidente l’H.I.V. ha perso lo status di emergenza sanitaria, in India resta una sfida di proporzioni epidemiche. Secondo il National AIDS Control Organization (NACO), nel 2023 circa 2,54 milioni di persone convivevano con l’H.I.V., collocando l’India tra i cinque paesi con il maggior numero di casi al mondo. Sempre nello stesso anno, quasi 80.000 persone sono morte per cause legate all’AIDS.

A livello globale, l’H.I.V. e l’AIDS rimangono problemi sanitari rilevanti. I dati di UNAIDS indicano che alla fine del 2023 quasi 40 milioni di persone sono risultate sieropositive, con la maggioranza concentrata nei paesi del Sud del mondo. L’Africa subsahariana conta il maggior numero di casi, con 25,9 milioni di persone affette, seguita dall’Asia e dal Pacifico (6,7 milioni) e dall’Europa occidentale e Nord America (2,3 milioni). Dall’inizio dell’epidemia, nel 1981, si stima che oltre 42 milioni di persone siano morte per l’AIDS.

In India, gli stati meridionali di Maharashtra, Andhra Pradesh e Karnataka sono quelli con il più alto numero di infezioni. In Karnataka, uno stato prevalentemente rurale, il tasso di sieropositività pro capite supera la media nazionale.

“Queste persone hanno bisogno di attenzione, empatia e cure, proprio come chiunque altro”

Padre Areeparambil ricorda con preoccupazione l’impennata di casi di H.I.V. registrata nel 2007 nello stato. “A Shimoga sono arrivate nuove industrie, e con loro più camionisti e, inevitabilmente, un aumento delle lavoratrici del sesso”, racconta.

Per rispondere all’emergenza, nel 2009 la Malnad Social Service Society ha aperto il Navajeevan Community Care Center a Bommanakatte, una cittadina industriale del distretto di Bhadravathi, per offrire supporto ai malati di H.I.V. e AIDS. Tuttavia, a causa dello stigma sociale legato a queste malattie e alle pressioni della comunità locale, il centro è stato presto rinominato Navajeevan Holistic and Palliative Care Center (Centro di Cura Olistica e Palliativa Navajeevan).

“In India, lo stigma di avere l’H.I.V. o l’AIDS è enorme”, spiega padre Areeparambil. “Molte persone vivono in famiglie allargate, e se i tuoi parenti scoprono che sei sieropositivo, vieni quasi sempre emarginato”.”

Sebbene il centro conti già circa 200 pazienti nel suo bacino d’utenza, questo accogli anche pazienti affetti da H.I.V. e AIDS provenienti da luoghi lontani che ricercano tranquillità e discrezione durante il trattamento.

Anche i figli dei pazienti affetti da H.I.V. e AIDS vengono talvolta emarginati o esclusi dai loro coetanei a causa dello stigma. 

“In certi casi riusciamo a risolvere questi problemi, altre volte falliamo”, commenta padre Areeparambil parlando del lavoro del centro con le famiglie coinvolte. “Ma siamo qui per loro. Offriamo consulenza ai pazienti e alle loro famiglie”.

Il sacerdote sostiene che la sua fede lo incoraggia a perseverare anche quando si sente messo alla prova da circostanze difficili.

Padre Abraham Areeparambil assiste i pazienti con H.I.V. al Navajeevan Holistic and Palliative Care Center di Bommanakatte, India. (Foto di Sajeendran V.S.)

“La nostra presenza come cristiani è una testimonianza del Vangelo. E la nostra testimonianza è preziosa per la Santa Chiesa”, dice. “So che Gesù è con me in ogni momento”.

Padre Sajeesh Thrikkodanmalil, direttore del Centro Navajeevan, spiega che il centro offre assistenza sanitaria, cibo e farmaci ai pazienti affetti da H.I.V. e AIDS “indipendentemente dalla loro fede”.

“La maggior parte dei nostri pazienti sono abbandonati dalle loro famiglie o dai loro mariti. Nel caso di pazienti più anziani, sono i figli a non volersi occupare di loro”, spiega. “Noi li aiutiamo a curarsi e ci assicuriamo che vengano reintegrati nelle comunità offrendo loro opportunità di lavoro”.

Il centro organizza programmi di sensibilizzazione sulla cura dell’igiene, l’alimentazione e il benessere generale dei pazienti con H.I.V. e AIDS. Una parte importante delle attività riguarda l’informazione sui rischi delle infezioni sessualmente trasmissibili, con un focus particolare sui gruppi vulnerabili, e incoraggia le persone a sottoporsi al test se manifestano sintomi influenzali o sospettano di essere a rischio di H.I.V.

La dottoressa Deepa K.M. lavora al Centro Navajeevan. “In India, i gruppi emarginati, come i lavoratori del sesso, le persone transgender e le persone omosessuali, non solo sono stigmatizzati per l’H.I.V., ma anche per essere parte di categorie socialmente escluse”, spiega. “Queste persone, infatti, subiscono discriminazioni anche all’interno delle loro stesse comunità”.

Anche suor Rosaline Jose, della Congregazione del Sacro Cuore, lavora con i pazienti del Centro Navajeevan.

“Alcuni dei nostri volontari sono sieropositivi”, dice. “Capiscono cosa significhi vivere con questa condizione. Inoltre, si occupano dei contatti con gli ospedali governativi e portano a noi tutti i pazienti che hanno bisogno di assistenza oltre a quella farmacologica”.

Suor Rosaline sottolinea che stanno lavorando anche per sensibilizzare le persone sui loro diritti e doveri in relazione all’H.I.V. e all’AIDS, come stabilito dalla legge indiana.

“Come Gesù ebbe compassione, così anche noi dobbiamo offrire loro la nostra”

“Per esempio, un uomo affetto da H.I.V. o da AIDS, che sposasse consapevolmente una donna e le trasmettesse l’H.I.V., sarebbe ritenuto colpevole di aver diffuso un’infezione potenzialmente letale. Si tratta di un reato punibile per legge che prevede una pena detentiva di due anni”, spiega la dottoressa.

Il Paese sta collaborando con l’UNAIDS per implementare un rigoroso programma di intervento mirato per raggiungere l’obiettivo stabilito 90-90-90: identificare il 90% delle persone affette da H.I.V., somministrare una terapia antiretrovirale al 90% delle persone diagnosticate e ottenere una soppressione virale sostenuta nel 90% dei pazienti in terapia antiretrovirale. Gli obiettivi a lungo termine sono l’eliminazione della trasmissione da madre a figlio entro il 2025 e la trasmissione zero entro il 2030.

Suora Rosaline Jose del Sacro Cuore assiste i pazienti con H.I.V. al Navajeevan Holistic and Palliative Care Center di Bommanakatte, in India. (Foto di Sajeendran V.S.)

Mandya, un distretto del Karnataka famoso per la sua produzione di canna da zucchero, ha visto una continua diminuzione dei casi di H.I.V. nell’ultimo decennio. Nel 2014, Mandya era il secondo distretto dello stato per numero di pazienti con H.I.V.; in pochi anni è sceso al sedicesimo posto.

Padre Roy Vattakunnel, direttore della Jyothir Vikasa Social Service Society dell’Eparchia Cattolica Siro-Malabarese di Mandya, attribuisce questo miglioramento alle campagne di sensibilizzazione, in gran parte realizzate attraverso il teatro di comunità, manifesti e cartelloni, che “informano le persone sui pericoli della diffusione del virus”. Le campagne vengono realizzate in collaborazione con le autorità locali, le organizzazioni volontarie e le comunità.

L’organizzazione caritativa della Chiesa collabora anche con il governo nei programmi di prevenzione e trattamento, supportata dalle organizzazioni di volontariato, aggiunge padre Vattakunnel.

Il programma Asha Kirana, pensato per supportare le persone affette da H.I.V. e AIDS, si rivolge anche ai lavoratori del sesso, un settore cresciuto a Mandya con l’arrivo di lavoratori migranti nelle fabbriche di zucchero. Secondo i dati ufficiali del 2021, 92 delle 1.221 prostitute femminili e 56 dei 991 prostitute maschili registrati presso il Karnataka Sex Workers Union risultano sieropositivi.

Asha Kirana assiste oltre 350 pazienti, indirizzandoli ai centri di trattamento e offrendo supporto psicologico, pasti equilibrati e informazioni su H.I.V. e AIDS. Nel primo semestre del 2024, l’organizzazione ha contribuito all’identificazione di 14 nuovi casi a Mandya e ha indirizzato 55 pazienti al centro locale per i test.

Bambini affetti da H.I.V. vengono aiutati dalla Malnad Social Service Society di Shimoga, in India, dove padre Abraham Areeparambil, in prima fila, è direttore. (Foto di Sajeendran V.S.)

“Il governo offre servizi di trattamento per i pazienti presso l’ospedale distrettuale di Mandya. Tuttavia, a causa dello stigma sociale, delle difficoltà emotive ed economiche, molti pazienti non riescono a sfruttare questi servizi da soli”, spiega padre Vattakunnel. “Ed è qui che interveniamo noi”.

“Il nostro obiettivo principale è migliorare la qualità e l’aspettativa di vita dei pazienti, offrendo loro supporto emotivo, spirituale, nutrizionale e sociale”.

Meena K., una delle 11 collaboratrici dell’organizzazione, osserva che la cultura patriarcale predominante in Karnataka rappresenta una grande difficoltà nel trattare con le donne su tematiche relative alla salute, all’H.I.V. e all’AIDS.

“Le donne qui devono chiedere sempre il permesso ai mariti per qualsiasi cosa. Senza quello, non alzano neanche un dito”, racconta Meena K., aggiungendo che è altrettanto difficile parlare con gli uomini, che “non sono disposti a dialogare e pensano di sapere già tutto”.

Racconta anche di un uomo sieropositivo che si è sposato senza rivelare la sua condizione né alla moglie né alla sua famiglia. Durante le tre gravidanze della moglie, l’uomo l’ha costretta ad abortire, dicendo di non voler avere figli, piuttosto che parlare apertamente della sua malattia.

“Molti uomini non capiscono che, secondo la legge indiana, non dichiarare lo stato di sieropositività prima di sposarsi è un reato”, aggiunge. “In questa parte del Karnataka, gli uomini non vogliono essere educati o informati. Non prendono i farmaci regolarmente né si sottopongono a regolari esami del sangue”.

Asha Kirana organizza anche incontri di supporto mensili per aiutare emotivamente e psicologicamente i pazienti con H.I.V. e AIDS.

“È importante che le persone si sentano supportate e non abbandonino la speranza”, afferma padre Vattakunnel.

“Il nostro obiettivo finale è costruire un futuro libero da H.I.V. e AIDS, dove ogni individuo possa crescere e prosperare”, conclude. “Dobbiamo farlo, soprattutto per i più poveri e trascurati della società”.

Il seguente articolo è stato tradotto dalla rivista ONE Magazine, lo puoi trovare in versione originale cliccando qui.

Anubha George è stata redattrice per la BBC. Attualmente è cronista e scrittrice per diverse testate. Vive in Kerala, in India.

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