Lunedì 23 settembre il Libano ha vissuto una giornata drammatica, segnando il 352° giorno di guerra contro Gaza, con bombardamenti che hanno colpito il paese in un’ondata senza precedenti di attacchi aerei.
Gli attacchi sono iniziati alle 6.00 del mattino e sono proseguiti fino a tarda notte. Sono stati colpiti oltre 1.300 obiettivi, sia militari che civili, concentrandosi principalmente nelle aree a maggioranza musulmana sciita a sud, nella parte settentrionale della Valle della Bekaa e nei sobborghi meridionali di Beirut. Alcuni missili hanno raggiunto le aree di Byblos alta e Keserwan, lo storico Monte Libano, zone fortemente popolate da cristiani con una piccola minoranza sciita.
Questi bombardamenti hanno fatto seguito all’esplosione di circa 5.000 pager e walkie-talkie avvenuta il 17 e 18 settembre, che ha provocato la morte di almeno trentasette persone e il ferimento di 2.931, secondo quanto riportato dal Ministro della Salute Pubblica libanese, Firas Abiad. Questo attacco si aggiunge al precedente avvenuto il 19 settembre in un sobborgo meridionale di Beirut che aveva come bersaglio un leader militare di Hezbollah e i suoi sedici accompagnatori. L’attacco ha causato un numero considerevole di vittime tra i civili. In una prima valutazione, il Ministero della Salute Pubblica ha registrato trentuno morti, tra cui tre bambini e sette donne, e sessantotto feriti.
Il lunedì di sangue è iniziato all’alba, con migliaia di bombe che si sono abbattute senza sosta per tutto il giorno. Secondo il ministero della salute libanese, l’attacco israeliano ha causato almeno 558 morti, tra cui trentacinque bambini, e oltre 1.800 feriti.
L’esercito israeliano ha esortato chi viveva vicino a depositi di armi di Hezbollah ad “abbandonare immediatamente la zona.” Alcuni abitanti hanno ricevuto messaggi di evacuazione da numeri sconosciuti, proprio mentre i bombardamenti erano già iniziati. Questo è stato interpretato come un annuncio di attacchi indiscriminati, causando un’enorme fuga verso Saida e il Monte Libano, ritenuti più sicuri. Tuttavia, anche queste aree potrebbero presto diventare bersagli dei raid aerei.
Il personale dell’Associazione Fratelli, un’organizzazione partner a Rmeileh, lungo la costa del distretto del Chouf, è rimasto profondamente scosso dalla devastazione e dal numero di persone sfollate.
“Abbiamo passato la notte per strada distribuendo acqua e cibo. Molte famiglie hanno perso qualcuno, tra morti e dispersi”, ha riferito un membro del programma, aggiungendo che le loro case erano distrutte, le persone sconvolte e molti cercavano rifugio sulla spiaggia, in attesa di capire cosa fare.
Con voci tremanti, lo staff del Comitato Cristiano Congiunto per il Servizio Sociale di Saida ha segnalato bombardamenti su diversi villaggi vicini. Sebbene Saida non sia ancora stata colpita, la paura è palpabile, sapendo che i raid aerei sono imprevedibili e che potrebbero essere i prossimi.
I nostri collaboratori stanno aiutando le comunità dei villaggi di confine del sud. Le Suore del Sacro Cuore gestiscono una scuola nel villaggio di Ain Ebel, dove studiano insieme ragazzi cristiani e musulmani. L’obiettivo è difendere la presenza cristiana nella zona e garantire un’istruzione di qualità a tutti”.
““Sono ancora viva”, ha raccontato suor Maya Beiano, direttrice della scuola. “I missili cadono vicinissimi; il convento trema e i vetri si infrangono. Solo una settimana fa, su richiesta dei genitori, abbiamo deciso di riaprire, anche se il numero degli studenti è dimezzato, non arriviamo a 500, e sempre più ragazzi se ne vanno”.
“Nonostante tutto, dobbiamo pagare gli stipendi di insegnanti e personale, anche se le rette scolastiche non vengono versate”.
Durante la conversazione, Suor Maya si è tranquillizzata e, nonostante il suono delle esplosioni, è ritornata nella scuola. “Finché ci sarà anche solo un bambino o una madre nel villaggio, continuerò la mia missione,” ha affermato, concludendo la conversazione chiedendo preghiere.
La stessa situazione si sta verificando in altri villaggi di confine. Nel contesto difficile dei villaggi di Rmeich e Debel, cinque suore Antonine hanno scelto di rimanere per assistere i bisognosi, sfidando le circostanze. Anche se finora i villaggi cristiani sono stati risparmiati dai bombardamenti, gli abitanti si trovano intrappolati e vivono ogni giorno nella paura, con strade bloccate che limitano ogni possibilità di fuga. Le scuole cattoliche nel sud, che giocano un ruolo fondamentale nel mantenere viva la presenza cristiana nella regione, stanno affrontando la sfida di un numero crescente di famiglie che fuggono verso aree più sicure. Purtroppo, le iscrizioni per questo anno accademico sono crollate in entrambe le scuole.
In risposta alla crisi, il Ministero dell’Istruzione ha sospeso le lezioni in tutte le scuole e università per almeno un giorno. Circa 90 scuole pubbliche sono state trasformate in rifugi per accogliere le famiglie sfollate. Ad oggi, circa 150 strutture stanno operando, ospitando migliaia di persone in cerca di sicurezza.
Durante una telefonata, il Reverendissimo Marios Khairallah dell’Arcieparchia Melchita di Tiro ha descritto la situazione come uno stato di guerra: l’ingresso principale della città è stato bombardato e distrutto. Le persone che cercavano di fuggire dalle loro case sono rimaste bloccate per tutta la notte, in attesa che le macerie venissero rimosse. Le parrocchie si sono svuotate, gli abitanti che si sono rifugiati in zone più sicure nel nord, come Byblos, Batroun e Beirut. L’Arcieparchia ha accolto 250 musulmani, costretti a passare la notte in condizioni difficili, senza materassi e cibo.
Il Reverendissimo Philippe El Oqla, direttore della scuola ortodossa nella per lo più cristiana città di Marjayoun, ha riportato anche bombardamenti nella sua zona. Ha detto di essere riuscito ad accogliere solo venti famiglie, fornendo loro materassi, pane e cibo in scatola. Ha evidenziato che i bisogni sono enormi e le risorse finanziarie limitate, soprattutto con l’incertezza sulla durata della guerra.
Dalla prima ondata di sfollamenti nel sud del Libano, avvenuta dopo il 7 ottobre 2023, CNEWA-Pontificia Missione ha collaborato con le arcidiocesi maronite e melchita di Tiro, focalizzandosi sulla fornitura di cibo alle famiglie che, nonostante le condizioni pericolose, sono rimaste nei loro villaggi. Nella prima fase sono stati distribuiti 1.954 pacchi alimentari del valore di 40 dollari e 910 buoni alimentari del valore di 50 dollari, per un totale di 2.864 famiglie cristiane vulnerabili senza alcuna fonte di reddito. Una seconda fase di pacchi alimentari d’emergenza, del valore di 20 dollari ciascuno, ha raggiunto ulteriori 2.511 famiglie.
La situazione è estremamente caotica e ogni tentativo di valutare le necessità d’emergenza risulta prematuro. Tuttavia, il team di CNEWA-Pontificia Missione a Beirut è consapevole dell’urgenza di fornire cibo, kit igienici, latte per neonati, acqua potabile e medicinali. Rimangono saldi nel loro impegno verso il popolo libanese, che, come sottolineò San Giovanni Paolo II, è “qualcosa di più di un semplice paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo, tanto per l’Est quanto per l’Ovest“.