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La Pontificia Missione compie 75 anni

Con l’avvicinarsi dell’anno 2024, si chiudono le commemorazioni del 75° anniversario della Pontificia Missione per la Palestina, il braccio operativo della CNEWA in Medio Oriente.

Questo 75° anniversario è un’occasione che porta con sé una certa tristezza: ci invita a ricordare le vite di generazioni di ebrei, cristiani e musulmani segnate da conflitti, guerre, oppressioni, perdita della casa e profonde sofferenze. Allo stesso tempo, è un’opportunità per riflettere su 75 anni di impegno e solidarietà internazionale verso uomini, donne e bambini che, senza colpa, si sono trovati in situazioni drammatiche, affidati alla misericordia altrui. Ricordiamo con gratitudine anche l’attenzione costante della comunità cattolica mondiale per le generazioni di sfollati e rifugiati.

Che cos’è la Pontificia Missione per la Palestina? Lasciatemi spiegare.

Uno dei frutti nati dagli orrori e dalle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale fu l’impegno della comunità delle nazioni a evitare un nuovo conflitto globale e a lavorare insieme per risolvere le dispute regionali, prima che queste si trasformassero in conflitti armati. Per questo, vennero fondate le Nazioni Unite, un organismo internazionale pensato come spazio di dialogo e mediazione. Tra le prime questioni affrontate dall’ONU vi fu il Medio Oriente, con particolare attenzione alla Palestina, allora sotto mandato britannico. Nel novembre 1947, l’Assemblea Generale approvò un piano che prevedeva la creazione di due stati indipendenti, uno arabo e uno ebraico, e un’amministrazione internazionale per la città santa di Gerusalemme. Tuttavia, le tensioni tra arabi ed ebrei esplosero quasi immediatamente dopo il voto. La situazione peggiorò con il ritiro delle truppe britanniche nel maggio 1948, quando Israele dichiarò la propria indipendenza e gli stati arabi vicini entrarono in guerra. Questo conflitto diede origine a una drammatica crisi umanitaria con migliaia di rifugiati.

Nel giro di una notte, quasi un milione di arabi palestinesi, cristiani e musulmani, fuggirono dalle loro case e dai loro villaggi ancestrali, trovando rifugio nel vicino Libano, nel Regno Hashemita di Transgiordania, a Gaza (allora occupata dall’Egitto) e in Siria. Nell’enciclica del 1948, In multiplicibus curis, Papa Pio XII ha evidenziato che “sulla terra su cui il Signore nostro Gesù Cristo versò il suo sangue…continua a scorrere il sangue degli uomini…si continua a combattere, si accresce la miseria dei miseri e il terrore degli atterriti, mentre migliaia di profughi, smarriti e incalzati, vagano lontano dalla patria in cerca di un ricovero e di un pane”.

Mons. Thomas J. McMahon, un sacerdote di New York, in qualità di responsabile della Catholic Near East Welfare Association (CNEWA), guidò gli interventi di aiuto per i profughi su incarico dei vescovi cattolici statunitensi. Riflettendo su quel periodo, ricordò: “Tra la fine del 1948 e l’inizio del 1949, mentre collaboravo con i vescovi e con centinaia di sacerdoti e religiose per portare soccorso in Medio Oriente, mi resi conto della necessità urgente di istituire una Pontificia Missione speciale per la Palestina, capace di coordinare gli sforzi dell’intero mondo cattolico…Era questa l’idea del Santo Padre e di chi gli stava vicino”.

I vertici della Pontificia Missione, in particolare il suo primo presidente Mons. Thomas J. McMahon (con gli occhiali), sono stati in prima linea nei soccorsi di emergenza dal Libano a Gaza. (Foto di CNEWA)

Un uomo molto vicino al papa in quel periodo era Mons. Giovanni Battista Montini, che si occupò di coordinare e dirigere le iniziative umanitarie del pontefice a favore dei rifugiati durante la guerra. Montini, che sarebbe poi diventato papa con il nome di Paolo VI, seguiva con attenzione le opere di soccorso di Mons. McMahon e propose che fosse lui a guidare un gruppo dedicato a questa missione.

“Si è deciso”, ha scritto il Cardinale Eugene Tisserant, segretario della Sacra Congregazione per le Chiese Orientali, “di riunire sotto la Pontificia Missione, operante in Terra Santa, tutte quelle organizzazioni e associazioni che sono impegnate in attività riguardanti l’Oriente, e che sono sparse in molti Paesi d’Europa e in altri continenti”.

Incaricato dalla Santa Sede, Mons. McMahon della CNEWA ha iniziato immediatamente a lavorare con il fondo di soccorso d’emergenza dei vescovi cattolici statunitensi, della Conferenza nazionale del welfare cattolico degli Stati Uniti, del Consiglio nazionale delle donne cattoliche degli Stati Uniti, del Consiglio per le missioni mediche cattoliche, dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e della Società San Vincenzo de’ Paoli. Gran parte del lavoro pratico finanziato e sostenuto da questa iniziativa di è stato svolto dalle comunità religiose di uomini e donne in Terra Santa e da un esercito di volontari laici.

Nove anni dopo che il Papa lanciò questo speciale impegno per gli sfollati della Palestina, affidandone l’amministrazione alla CNEWA, Mons. Peter P. Tuohy, che succedette a Mons. McMahon come presidente della Pontificia Missione, riferì che la Pontificia Missione aveva distribuito oltre 34 milioni di dollari in cibo, medicinali e abbigliamento, inclusi 8.000 tonnellate di cibo, 6.000 tonnellate di vestiti e 55 tonnellate di forniture mediche. Questi aiuti salvavita furono distribuiti da 273 centri a più di 425.000 persone, quasi la metà della popolazione rifugiata. Il sacerdote riportò anche che, nello stesso periodo, la CNEWA-Pontificia Missione offrì riparo a circa 20.000 rifugiati e sostenne l’istruzione di oltre 34.000 studenti in 343 scuole.

“Il tuo nome,” scrisse il Cardinale Tisserant a Mons. McMahon, ormai in pensione, “viene ricordato con gratitudine da migliaia di rifugiati palestinesi, che senza il tuo intervento tempestivo ed efficace sarebbero stati perduti”.

Con il passare degli anni e senza alcuna soluzione in vista, i rifugiati della Palestina avevano poche opzioni. Molti rimasero nei campi che offrivano loro un rifugio immediato. Altri se ne andarono e si assimilarono alla popolazione locale o emigrarono. Molti palestinesi cristiani, che un tempo costituivano il 20% della popolazione e la spina dorsale della cultura e della classe media palestinese, iniziarono a partire per le Americhe o l’Oceania. In ogni caso, la frattura tra le comunità, le culture e le famiglie pesò molto sulle chiese locali e sulla Santa Sede, che vedeva minacciata la dignità della vita umana.

Al momento della sua elezione a Pontefice, Papa Paolo VI annunciò l’intenzione di iniziare il suo pontificato in Terra Santa, per “portare al Santo Sepolcro e alla Grotta della Natività i desideri delle persone, delle famiglie, delle nazioni; soprattutto le aspirazioni, le ansie, le sofferenze degli ammalati, dei poveri, dei diseredati, degli afflitti, dei rifugiati, di coloro che soffrono, di coloro che piangono, di coloro che hanno fame e sete di giustizia”.

Mons. John G. Nolan trascorreva ogni Natale presso l’Orfanotrofio della Pontificia Missione di Betlemme, che in seguito è stato presentato in un programma della ABC News condotto da Hugh Downs. (Foto di CNEWA)

Nel gennaio del 1964, il Papa fu accompagnato nel suo pellegrinaggio da Mons. Joseph Ryan, responsabile della CNEWA-Pontificia Missione. La visita papale fu segnata da numerosi momenti significativi, tra cui l’abbraccio tra i vescovi di Roma e di Nuova Roma — Costantinopoli — e l’inizio di un miglioramento nei rapporti tra cristiani cattolici e ortodossi. Tuttavia, il Papa fondò anche quattro importanti iniziative, coinvolgendo la CNEWA-Pontificia Missione per il suo sostegno e consulenza, che hanno avuto un impatto duraturo su migliaia di persone fino ad oggi: l’Università di Betlemme, l’Istituto Ephpheta per bambini sordi, l’Istituto Ecumenico di Tantur e il Centro di Pellegrinaggio Notre Dame a Gerusalemme. Questi progetti di sviluppo umano promossi dalla Santa Sede hanno segnato una svolta nella Pontificia Missione, che da un intervento di soccorso d’emergenza si è evoluta in un’opera che, dopo aver soddisfatto i bisogni immediati, ha cominciato a offrire anche supporto per lo sviluppo umano, corpo e anima.

La mancanza di risoluzioni politiche, la guerra arabo-israeliana del 1967, la guerra civile in Giordania e in Libano, l’inizio della prima intifada nel 1987 e la guerra del Golfo del 1991 hanno spinto la CNEWA-Pontificia Missione a rispondere ai nuovi bisogni causati dall’oppressione militare, dai conflitti civili e dalla guerra, spingendo i successori di Paolo VI, in particolare Papa Giovanni Paolo II, a estendere il mandato della Pontificia Missione ai bisogni di tutte le persone vulnerabili in tutto il Medio Oriente.

Oggi la CNEWA dirige le attività della Pontificia Missione in tutta la regione. Il suo team regionale con sede ad Amman, in Giordania, serve l’Iraq e la Giordania. L’ufficio di Beirut, che funge anche da coordinatore degli interventi di emergenza, fornisce assistenza in Libano e Siria. L’ufficio di Gerusalemme offre assistenza in Israele e nei territori palestinesi occupati di Gaza e Cisgiordania.

Un uomo e una bambina che sorridono
Joseph Hazboun, direttore regionale dell’ufficio di Gerusalemme della CNEWA-Pontificia Missione, in visita alla Casa per bambini della Sacra Famiglia a Betlemme, il 13 aprile. (Foto di Joseph Saadah)
Un uomo scarica da un camion biancheria da letto fornita dalla CNEWA
Michel Constantin, direttore regionale della CNEWA-Pontificia Missione per il Libano e la Siria, al centro, distribuisce biancheria da letto a Deir el Ahmar. (Foto di Riad El Hajj)

Nonostante le gravi incertezze che continuano a colpire le popolazioni di Israele, Palestina, Libano, Siria, Giordania e Iraq, la CNEWA-Pontificia Missione rimane saldamente impegnata nel suo servizio come strumento di salvezza e speranza voluto dal Santo Padre.

Olivia Poust è assistente di redazione della rivista ONE.

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