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Un segno di speranza in Terra Santa

ONE Magazine è la rivista ufficiale della Catholic Near East Welfare Association (CNEWA), pubblicata regolarmente dal 1974. Attualmente, i contenuti sono disponibili solo in inglese e spagnolo. Il presente articolo racconta la visita in Terra Santa del Cardinale Timothy M. Dolan in occasione del 75° anniversario della Pontificia Missione.

Il conflitto armato tra Israele e Hamas, che rischia di estendersi a tutto il Medio Oriente, non ha fermato il Cardinale Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York e presidente del Consiglio di amministrazione della CNEWA, dal compiere il suo atteso viaggio pastorale in Terra Santa a metà aprile.

La visita è stata organizzata in occasione della commemorazione dei 75 anni di attività della Pontificia Missione per la Palestina, agenzia operativa della CNEWA in Medio Oriente. Istituita con l’appoggio di Papa Pio XII nel 1949, la Missione si occupa di coordinare gli aiuti cattolici per le persone più vulnerabili nella Terra Santa. Ancora oggi continua a essere un simbolo di salvezza e speranza in una regione tormentata, evidenziando le difficoltà quotidiane vissute da tutti, indipendentemente dalla loro fede, etnia, politica o nazionalità.

“Questa è una terra profondamente divisa, ma allo stesso tempo unita dal dolore e dalle lacrime”, ha affermato il Cardinale Dolan. “Non mi interessa sapere se siano israeliani o palestinesi, musulmani o cristiani”.

“Vedo madri con i loro figli. Vedo anziani, coppie sposate, nonni e nonne. E sento ovunque lo stesso desiderio: ‘Vogliamo solo vivere in pace, sicuri, con le nostre famiglie’”.

Dal 12 al 17 aprile, il Cardinale Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York e presidente della CNEWA, ha visitato Israele e la Palestina. Il viaggio, previsto per commemorare i 75 anni della Pontificia Missione per la Palestina, si è trasformato in un gesto di solidarietà nel mezzo del conflitto tra Israele e Hamas.

Il Cardinale Timothy M. Dolan ha visitato la Terra Santa accompagnato da Mons. Peter I. Vaccari, presidente della CNEWA e della Pontificia Missione, e Michael J.L. La Civita, responsabile delle comunicazioni per la CNEWA-Pontificia Missione e luogotenente della Eastern Lieutenancy (USA) dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, antico ordine cavalleresco della Chiesa Cattolica, che collabora da anni con la Pontificia Missione.

Il viaggio, inizialmente programmato dal 12 al 18 aprile, si è concluso con un giorno di anticipo a causa della cancellazione dei voli di ritorno verso il Nord America. Questo è avvenuto dopo un’escalation delle ostilità tra Israele e Iran, culminata il 13 aprile con il lancio di circa 300 missili e droni da parte dell’Iran contro Israele.

“Questa terra è profondamente divisa, ma unita nel dolore e nelle lacrime

Il raid è stato una risposta a un attacco israeliano del 1° aprile su un edificio diplomatico iraniano in Siria, che aveva causato 12 morti, tra cui due generali iraniani. Uno di questi era stato accusato di aver pianificato l’attacco di Hamas del 7 ottobre contro il sud di Israele, in cui erano morte 1.200 persone e circa 240 erano state prese in ostaggio. A sua volta, Israele ha risposto all’attacco di Hamas con un’operazione militare in corso a Gaza, che ha causato la morte di circa 35.000 palestinesi, per lo più donne e bambini.

Nel corso della visita, il Cardinale ha incontrato in privato le famiglie degli ostaggi israeliani, ormai vicini ai 200 giorni di prigionia a Gaza. Questi incontri, ha detto, gli hanno trasmesso una “grande speranza”.

“Mi hanno detto: ‘Non permetteremo che tutto questo distrugga i nostri sogni. Sogniamo di riabbracciare i nostri cari. Sogniamo un luogo sicuro dove vivere e crescere i nostri figli. Sogniamo una Palestina libera dal terrorismo e un Israele sicuro, aperto e capace di essere un buon vicino per i palestinesi. E questi sogni non saranno infranti’”.

Ha inoltre incontrato leader religiosi ebrei, musulmani e cristiani, oltre al presidente palestinese Mahmoud Abbas e al presidente israeliano Isaac Herzog, a cui ha chiesto di impegnarsi per una pace giusta e duratura.

Il Cardinale Dolan ha celebrato due Messe di ringraziamento per il 75º anniversario della Pontificia Missione: la prima a Gerusalemme, insieme al Cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, e la seconda nella Chiesa dell’Annunciazione a Beit Jala, a circa 3 chilometri a nord-ovest di Betlemme.

“Ringraziamo Dio per il privilegio di poter sostenere la Chiesa e la comunità cristiana in questa terra che chiamiamo santa”, ha detto il Cardinale Dolan a Beit Jala. “In America diciamo sempre: non dimenticare mai le tue origini. E noi cattolici, noi cristiani, non dimentichiamo mai da dove veniamo. Le nostre radici sono qui. È per questo che è un onore e un privilegio collaborare con voi attraverso la Pontificia Missione per la Palestina. Farlo non è solo un dovere, ma anche una grande gioia”.

Il Cardinale Dolan e Mons. Peter I. Vaccari mentre ascoltano i leader della comunità nel campo profughi di Aida, a Beit Jala, il 14 aprile. (Foto di George Jaraiseh)

Dopo la Messa, il Cardinale ha incontrato i leader del campo profughi di Aida, che si trova su una superficie di meno di 1,3 chilometri quadrati, tra Betlemme, Beit Jala e Gerusalemme. Il campo accoglie circa 6.000 persone, provenienti da 28 villaggi nelle zone occidentali di Gerusalemme e Hebron, da cui le loro famiglie sono state costrette a fuggire. Fondato nel 1950, Aida è uno dei tre campi profughi nelle vicinanze di Betlemme ed è circondato dal muro di separazione israeliano e dalle torri militari.

“La Pontificia Missione ha assistito all’emergere della questione dei rifugiati e della Nakba, ed è stata una delle prime organizzazioni internazionali a schierarsi accanto ai rifugiati, anche prima che fosse istituita l’UNRWA”, ha affermato Said al Azzah, presidente del comitato del campo. “Ha svolto un ruolo cruciale nell’offrire assistenza ai rifugiati, nel proteggere la loro dignità e nel lottare per la giustizia nei loro confronti, in conformità con la legge”.

Khouloud Daibes, direttore della Fondazione per lo sviluppo di Betlemme, ha sottolineato in un incontro privato con il Cardinale che i cristiani hanno un ruolo fondamentale, poiché portano assistenza a più di un terzo della popolazione palestinese attraverso cure mediche, istruzione e servizi sociali.

La Pontificia Missione “è stata una delle prime organizzazioni internazionali a schierarsi accanto ai rifugiati”.

“Fornire assistenza per 75 anni è un chiaro segno dell’impegno e della determinazione della Pontificia Missione nel fornire aiuto”, ha dichiarato a ONE, la rivista ufficiale della CNEWA. “Unisce la comunità cristiana mondiale con quella in Palestina e mostra la preoccupazione della Santa Sede per il benessere dei palestinesi, in particolare dei rifugiati. Aiuta a rafforzare la loro presenza e a migliorare la qualità della vita, anche nelle circostanze più difficili”.

La Pontificia Missione rappresenta un “segno di speranza” per i palestinesi, ha aggiunto, ed è molto apprezzata per il suo costante impegno nel rispondere alle esigenze attuali.

Nel corso della visita, la CNEWA-Pontificia Missione ha coordinato anche un seminario tra cristiani e musulmani sul Monte degli Ulivi dedicato al tema dell’incitamento all’odio e all’uso che si fa dei social media a questo scopo. Il seminario ha incluso iniziative educative destinate a promuovere una maggiore comprensione, tolleranza e dialogo interreligioso all’interno della comunità palestinese.

Durante la cerimonia di inaugurazione dei lavori di ristrutturazione della Casa Notre Dame des Douleurs, l’unico istituto di assistenza infermieristica non privato e non governativo di Gerusalemme Est, Joseph Hazboun, direttore regionale di CNEWA-Pontificia Missione a Gerusalemme, ha sottolineato che i cristiani rappresentano solo l’1% della popolazione palestinese, ma forniscono assistenza a quasi il 35% dei palestinesi attraverso le istituzioni supportate dalla CNEWA.

Queste strutture, ha spiegato, contribuiscono annualmente con circa 450 milioni di dollari all’economia locale, offrono oltre 10.000 posti di lavoro e sono il terzo datore di lavoro più grande dopo l’Autorità Palestinese e le Nazioni Unite.

Inoltre, ha aggiunto, queste istituzioni sono “un luogo di incontro interreligioso, dove persone di fedi diverse dialogano ogni giorno, promuovendo comprensione e cooperazione”.

Diana Safieh, 83 anni, si è trasferita nella casa di riposo lo scorso anno. Costretta su una sedia a rotelle e dipendente da un serbatoio di ossigeno per aiutarla a respirare, ha ricordato di aver visto costruire quella struttura quando era una giovane studentessa, nel 1950.

Rimasta nubile e con i suoi fratelli che sono partiti da Gerusalemme dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando Israele conquistò la parte orientale della città, la signora Safieh ha affermato che la casa di riposo è fondamentale.

“Sempre più persone non hanno più i figli qui, quindi hanno bisogno di essere assistite. Questo posto è davvero indispensabile”, ha concluso.

Il Cardinale Timothy Dolan e Mons. Peter I. Vaccari in visita alla suora salesiana Vartohie Melkon nella Valle di Cremisan. (Foto di Michael J.L. La Civita)

Grazie al finanziamento del programma dell’Unione Europea per Gerusalemme Est e alla realizzazione da parte di CNEWA-Pontificia Missione, i lavori di ristrutturazione dovrebbero migliorare i servizi e raddoppiare il numero di residenti e di personale una volta completati, entro ottobre 2026.

Presso il convento delle Suore Missionarie Comboniane, che si trova nelle vicinanze, Suor Anna Maria Sgaramella, C.M.S., ha raccontato il lavoro della sua comunità lungo il confine di Gerusalemme Est, dove il muro di separazione israeliano attraversa il perimetro della loro proprietà e divide il villaggio di Betania.

Le suore gestiscono un asilo e programmi professionali per le comunità beduine nel deserto di Giudea, a est di Gerusalemme. Le loro istituzioni sono molto apprezzate e tutte le persone che assistono e impiegano sono musulmane, ha spiegato.

Nel loro asilo, i bambini vengono educati al rispetto per gli altri e per le loro tradizioni, senza distinzione di credo, e non sono tollerati atti di violenza, nemmeno sotto forma di armi giocattolo, ha aggiunto.

Il cardinale Dolan ha descritto la sua visita pastorale come un’esperienza di “risurrezione,” avendo vissuto sia momenti di “oscurità che di luce”.

“Il cammino verso la pace non passa attraverso le armi, né attraverso enormi quantità di denaro o di politica, anche se questi sono aspetti importanti”, ha affermato. “La vera via è quella dell’amore, del servizio e della cura per chi soffre”.

Il seguente articolo è stato tradotto dalla rivista ONE Magazine, lo puoi trovare in versione originale cliccando qui.

Judith Sudilovsky è una giornalista pluripremiata che da oltre 30 anni si occupa di questioni di fede, speranza e vita in Israele e Palestina

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