CNEWA Italia

Lavoratori cattolici “a rischio ovunque in Libano”

Michel Constantin, direttore regionale dell’ufficio di Beirut di CNEWA-Pontificia Missione, parla con OSV News della crisi umanitaria che sta travolgendo il Libano.

Con l’espandersi del conflitto tra Israele e Hamas, che ha coinvolto anche il Libano, dove opera la milizia sciita Hezbollah sostenuta dall’Iran, l’emittente OSV News ha intervistato Michel Constantin per comprendere la situazione sul campo. OSV News è un’agenzia di notizie che fornisce aggiornamenti su tematiche cattoliche e su questioni di rilevanza per la comunità cattolica, sia a livello nazionale che internazionale.

La Pontificia Missione, istituita grazie all’appoggio di Papa Pio XII nel 1949 e posta sotto la guida della CNEWA (istituita grazie all’appoggio di Papa Pio XI nel 1926), sostiene da decenni la Chiesa in tutto il Medio Oriente.

Dall’ufficio di Beirut, Michel Constantin ha raccontato le difficoltà che lui, il suo staff di 14 persone e le comunità che hanno bisogno di assistenza stanno affrontando in un contesto segnato dalla violenza. Secondo le Nazioni Unite, più di un milione di persone sono state sfollate in Libano entro la fine di settembre.

Questa intervista è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.

OSV News: La violenza ha coinvolto direttamente lei o il suo staff?

Michel Constantin: No, per ora gli attacchi contro i villaggi cristiani sono limitati. Tuttavia, la paura è palpabile, perché non riceviamo avvisi prima dei bombardamenti: non sappiamo mai quando colpiranno un villaggio o l’altro.

Per noi è uno scenario già visto, simile a quello del 2006 durante la guerra tra Israele e Hezbollah.

Ma questa volta la situazione è ancora più grave. Gli attacchi non si concentrano solo sulle zone dove Hezbollah è attivo: è sufficiente il sospetto che un membro di Hezbollah sia presente in un villaggio, anche se interamente cristiano, perché il villaggio venga bombardato.

Un tempo chi si trovava lontano dal sud del paese poteva considerarsi al sicuro. Oggi il pericolo è ovunque.

Pochi giorni fa un villaggio situato a poco più di un chilometro dal santuario di San Charbel è stato colpito durante un raid militare. Questo dimostra che il Libano è diventato un’unica grande zona di rischio, senza distinzione tra villaggi sciiti, cristiani o altro.

OSV News: Come stanno vivendo questa crisi le comunità che assistete e come le state aiutando?

Michel Constantin: Circa 3.000-4.000 famiglie cristiane vivono ancora lungo il confine con Israele, nel pieno del conflitto. Molte si rifiutano di andarsene, convinte che nei loro villaggi non siano presenti membri di Hezbollah. Tuttavia, le zone circostanti sono estremamente pericolose, e le famiglie sono bloccate, senza possibilità di spostarsi.

Per aiutarle, stiamo distribuendo generi alimentari, dato che i supermercati sono vuoti e i soldi scarseggiano. È il periodo del raccolto delle olive, una fonte di reddito cruciale per queste famiglie. Ma non possono accedere ai campi, e il raccolto rischia di andare perso.

La situazione è drammatica. Molte persone non hanno lavoro, reddito o mezzi di sostentamento e restano intrappolate nei villaggi.

C’è stato un massiccio esodo dal sud, con circa 250.000 persone che hanno lasciato l’area negli ultimi cinque giorni. A queste si aggiungono altre 100.000 che sono fuggite a partire dal 7 ottobre dello scorso anno (2023, quando l’attacco di Hamas a Israele ha scatenato la guerra Israele-Hamas. — NdR).

Ci sono stati bombardamenti da entrambe le parti e 100.000 libanesi hanno lasciato i loro villaggi nel sud per cercare rifugio in zone più sicure. A questi si aggiungono 250.000 persone costrette a fuggire. È importante sottolineare che non se ne sono andati per paura, ma perché l’esercito israeliano li aveva avvertiti tramite messaggi sui telefoni, dicendo che dovevano lasciare le loro case entro due ore, altrimenti sarebbero morti. Infatti, alcune persone non sono partite e sono state bombardate nelle loro case, dove sono morte.

Questi esodi sono caotici. Il viaggio tra Tiro e Beirut, che normalmente dura meno di due ore, ora richiede fino a 18 ore. Le strade sono bloccate da migliaia di auto, molte senza cibo né acqua per così tanto tempo. Solo grazie alla generosità di volontari che hanno distribuito panini e bottiglie d’acqua alcuni hanno trovato sollievo.

Come interveniamo? Attraverso il lavoro instancabile della Chiesa.

Distribuiamo pacchi alimentari nei villaggi sicuri più vicini alle zone a rischio. I sacerdoti organizzano il trasporto e, quando i bombardamenti diminuiscono, trovano il modo di consegnare gli aiuti. Senza la rete della Chiesa, non potremmo fare nulla. Abbiamo appena ricevuto i primi fondi di emergenza, 100.000 euro da Missio, in Germania (parte delle Società Missione Pontificia della Chiesa cattolica). Tutti gli aiuti passano attraverso parrocchie, diocesi, congregazioni e organizzazioni ecclesiastiche come la Società di San Vincenzo de’ Paoli.

Insomma, operiamo grazie all’aiuto della Chiesa. Il governo non è un’opzione affidabile, nemmeno in tempi di pace.

OSV News: Come state affrontando questa situazione a livello spirituale, voi e le comunità che servite?

Michel Constantin: Le reazioni dipendono dall’appartenenza politica.

Chi sostiene Hezbollah considera il conflitto un dovere morale: “Siamo martiri, dobbiamo combattere Israele”.

Ma per i cristiani che vivono in Libano il discorso è diverso. Per loro, questa non è la loro guerra. Molti dicono: “Possiamo essere solidali con Gaza, pregare per loro o inviare aiuti economici, ma non dobbiamo sacrificare le nostre vite. Anche se lo facessimo, la brutalità contro Gaza non cesserebbe, quindi perché dovremo distruggere le nostre comunità inutilmente?”

Il paese è in ginocchio economicamente, e sappiamo di non poter competere con l’esercito israeliano, che ha risorse immense. Per i cristiani, così come per i drusi e i sunniti non legati a Hezbollah, la priorità è proteggere le proprie famiglie.

Anche se alcune persone sono con Hezbollah, non sono una maggioranza, perché in Libano nessuno è una maggioranza. Il paese è composto da diverse minoranze: i cristiani, i sunniti, gli sciiti e i drusi, tutti gruppi minoritari. Siamo tutti minoranze. Se due o tre di queste minoranze si unissero, costituirebbero una maggioranza, e se diciamo che cristiani, sunniti e drusi sono contro Hezbollah, allora rappresenterebbero una maggioranza.

Speriamo che la mediazione statunitense possa portare a un cessate il fuoco. Preghiamo affinché si trovi una soluzione, altrimenti rischiamo di essere completamente distrutti.

Nonostante tutto, il Libano non è un paese brutale. Era considerato la “Svizzera” o la “Parigi” del Medio Oriente, noto per i suoi medici, insegnanti e università di eccellenza.

Oggi siamo ostaggi di agende straniere, principalmente iraniane, che tengono il paese sotto scacco. Ma i libanesi sono istruiti e capaci. Con l’aiuto dell’Occidente possiamo riconquistare la libertà, ritrovare la nostra neutralità e ricostruire il nostro paese.

Gina Christian è giornalista nazionale di OSV News.

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