Panoramica
Subito dopo l’adozione, il 29 novembre 1947, da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di un piano per la spartizione della Palestina, scoppiarono nuovamente ostilità tra arabi ed ebrei. Questa situazione portò grande afflizione e profonda preoccupazione nel cuore del Santo Padre, Papa Pio XII. Nell’enciclica Auspicia quaedam del 1° maggio 1948, dedicata alle preghiere pubbliche per la pace nel mondo e la soluzione dei problemi in Palestina, il Papa chiese suppliche “affinché la situazione in Palestina possa finalmente essere risolta in modo giusto e così si stabiliscano concordia e pace”.
Quando, il 14 maggio 1948, l’alto commissario britannico lasciò la Palestina, fu proclamato lo Stato di Israele e gli eserciti arabi entrarono in Palestina. Con il proseguire delle ostilità nei mesi successivi, Papa Pio si mostrò sempre più preoccupato. Il 24 ottobre 1948, pubblicò un’altra enciclica, In multiplicibus curis, in cui invitava a pregare per la pace in Palestina. Il pontefice espresse dolore “per il fatto che, nella terra dove Nostro Signore Gesù Cristo ha versato il suo sangue per portare redenzione e salvezza a tutta l’umanità, continua a scorrere sangue umano; e sotto quei cieli che, in quella notte fatidica, riecheggiarono il messaggio evangelico di pace, gli uomini continuano a combattere, aumentando le sofferenze degli sventurati e la paura dei terrorizzati, mentre migliaia di rifugiati, senza casa e in fuga, vagano lontano dalla loro terra in cerca di rifugio e cibo”.
Le iniziative di soccorso di Papa Pio XII
Papa Pio XII, “pur mantenendo una posizione imparziale”, fece tutto il possibile per promuovere la giustizia e la pace in Palestina. Si adoperò per aiutare le vittime della guerra inviando le risorse disponibili ai suoi rappresentanti in Palestina, Libano ed Egitto, e incoraggiando la nascita di iniziative tra i cattolici di diversi paesi con lo stesso obiettivo.
Nel febbraio del 1949, con l’entrata in vigore dell’armistizio, Papa Pio continuò a dimostrare la sua preoccupazione per la difficile situazione del popolo palestinese e per la sorte dei Luoghi Santi. Nell’enciclica Redemptoris nostri cruciatus del 15 aprile 1949, scrisse: “riceviamo ancora appelli strazianti da numerosi rifugiati, di ogni età e condizione, costretti dalla guerra a emigrare e a vivere in esilio nei campi profughi, preda della miseria, delle malattie e di ogni sorta di pericoli”.
Istituzione della Pontificia Missione per la Palestina
Nei mesi precedenti, il Santo Padre aveva esaminato da vicino gli sforzi della Chiesa a favore dei rifugiati, con l’intento di unificare tutto il lavoro umanitario e caritativo della Santa Sede sotto un’unica agenzia pontificia. Nell’aprile del 1949, Papa Pio convocò a Roma Monsignor Thomas J. McMahon, Segretario Nazionale della Catholic Near East Welfare Association. Il papa lo informò della sua intenzione di creare una missione speciale per la Palestina e lo nominò suo presidente.
Il 18 giugno 1949, il Cardinale Eugène Tisserant, Segretario della Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale, pubblicò un’Istruzione annunciando che il Santo Padre aveva istituito la Pontificia Missione per la Palestina e ne definì le competenze: “…è stato deciso di riunire sotto la Pontificia Missione, operante in Terra Santa, tutte quelle organizzazioni e associazioni che si occupano di attività legate all’Oriente, e che sono disperse in molti paesi d’Europa e di altri continenti”.
In seguito, Papa Pio nominò il Canonico Jules Creten, rettore del seminario arcidiocesano di Malines, segretario della missione, e approvò la nomina di Padre Raphael Kratzer, O.F.M., come assistente del presidente. La sede operativa della Pontificia Missione per la Palestina fu istituita a Beirut. In seguito, vennero aperti uffici anche a Gerusalemme e ad Amman.
Organizzazione e operazioni iniziali
Sette comitati locali della Pontificia Missione per la Palestina, che includevano il rappresentante papale, la gerarchia ecclesiastica, il clero, i laici e le organizzazioni caritative, furono istituiti per la Palestina araba (Cisgiordania), l’Egitto, il Libano, la Siria, la Transgiordania, Israele e Gaza. Allo stesso tempo, venne ampliato lo staff amministrativo e operativo.
La Missione divenne il punto di contatto tra la Santa Sede e le agenzie delle Nazioni Unite, estendendo anche il coinvolgimento del personale cattolico nelle loro attività. Inoltre, coordinava il lavoro con altre organizzazioni volontarie attive nella regione.
Negli anni successivi, la Pontificia Missione non si limitò a distribuire tonnellate di cibo, vestiti, medicine, rifugi temporanei e utensili da cucina ai nuovi sfollati, ma si impegnò anche nella costruzione di case per chi le aveva perse. Un risultato di grande rilievo fu il sostegno a programmi di formazione e istruzione, che permisero ai rifugiati di acquisire nuove competenze, diventare autosufficienti e accedere all’alfabetizzazione e a percorsi scolastici superiori.
La preoccupazione di Papa Paolo VI
Nell’ottobre del 1963, pochi mesi dopo essere stato eletto, Paolo VI espresse il suo profondo apprezzamento per il lavoro della Pontificia Missione per la Palestina, scrivendo al suo presidente: “Stimiamo molto gli sforzi e i risultati ammirevoli di questa missione, che abbiamo contribuito a creare”. Il papa invitò tutte le agenzie umanitarie a collaborare con la missione, rivolgendo un appello particolare a Catholic Relief Services, alla Custodia di Terra Santa e all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro.
Nel gennaio del 1964, Paolo VI fece un pellegrinaggio in Terra Santa. Le esperienze intense vissute in quel viaggio lo portarono a promuovere nuove iniziative creative a sostegno dei palestinesi e della Chiesa locale. Il 25 marzo 1974, con l’enciclica Nobis in animo, il papa affrontò i “gravi problemi religiosi, politici e sociali della Terra Santa: la difficile convivenza tra i popoli della regione, la pace e le questioni civili e umane che riguardano le diverse comunità che vivono lì”.
Paolo VI avvertì che “la continua tensione in Medio Oriente, senza reali progressi verso la pace, rappresenta un pericolo serio e costante, non solo per la sicurezza della regione e del mondo intero, ma anche per valori fondamentali cari a una larga parte dell’umanità”.
Nuove direzioni
In una lettera a Mons. John G. Nolan, segretario nazionale della CNEWA e presidente della Pontificia Missione per la Palestina, in occasione del 25° anniversario della missione, Paolo VI lodò il lavoro svolto, definendolo “uno dei segni più evidenti dell’attenzione della Santa Sede per il benessere dei palestinesi, che ci sono particolarmente cari perché sono il popolo della Terra Santa, perché includono i seguaci di Cristo e perché hanno subito e continuano a subire prove tragiche”. Il Papa ribadì “la nostra sincera partecipazione alle loro sofferenze e il nostro sostegno alle loro legittime aspirazioni”.
Papa Paolo VI diede nuovo slancio e nuove dimensioni all’opera della missione. “La nostra Missione per la Palestina si trova ora di fronte a un compito cruciale. Oltre a continuare a offrire assistenza senza distinzioni di nazionalità o religione a chi ha sofferto o sta soffrendo a causa dei conflitti che hanno devastato la regione, la Missione dovrà ora contribuire a progetti di aiuto, riabilitazione e sviluppo per la popolazione palestinese”. Il papa rinnovò inoltre l’appello affinché, nel mondo cattolico, si promuovesse “una collaborazione effettiva tra tutte le organizzazioni di soccorso coinvolte nella questione palestinese”.
Papa Giovanni Paolo II riconobbe gli sforzi della missione in un discorso per il suo 50° anniversario nel 1999. “Negli ultimi 50 anni”, disse il Papa, “il Medio Oriente ha vissuto continui momenti di tensione e conflitto, spesso sfociando in violenza e guerra aperta. In queste circostanze, la Pontificia Missione ha intensificato il suo impegno per aiutare le popolazioni locali a ricostruire le loro vite”.
“In questo modo”, aggiunse il Santo Padre, “la Pontificia Missione rappresenta un chiaro esempio di quella ‘nuova cultura di solidarietà e cooperazione internazionale’ (Incarnationis mysterium, n. 12) che è così necessaria nel mondo di oggi e che deve caratterizzare il nuovo millennio”.
“Prego affinché voi e tutti coloro che lavorano con la Missione possiate rinnovare la vostra fede e il vostro amore, cercando sempre nuovi modi per aiutare non solo con il sostegno materiale, ma soprattutto offrendo opportunità di sviluppo personale e sociale”, concluse il Papa. “Questo è il cammino più sicuro per instaurare una pace vera e duratura nei popoli del Medio Oriente”.
Sfide e struttura contemporanea
Con il diffondersi di violenza, conflitti e guerre in Giordania (1970-71), Libano (1975-90), Palestina (1987-93, 2000-2005), Iraq (1991, 2003-2010, 2014 fino a oggi) e Siria (dal 2011 a oggi), la Pontificia Missione si è trovata sempre più coinvolta nell’assistenza a tutti coloro che sono stati sradicati, sfollati e colpiti dalla violenza.
Affidata sin dalla sua fondazione alla gestione della CNEWA, la Pontificia Missione per la Palestina opera come agenzia esecutiva della CNEWA in Medio Oriente. Attraverso le chiese locali, CNEWA-PMP risponde alle esigenze urgenti delle persone assistite, fornendo aiuti di emergenza, cure sanitarie, sostegno educativo, consulenza post-traumatica e catechesi.
Grazie alla sua struttura amministrativa snella, alla natura non governativa e alla fiducia di cui gode tra le chiese locali, la CNEWA-PMP è in grado di intervenire rapidamente, con efficacia e prontezza per alleviare le sofferenze umane e favorire lo sviluppo.